giovedì, agosto 24, 2006

Norvegia IV: jonglieren

Ovviamente il titolo si riferisce al fatto che sto pian piano incominciando a "jonglieren". Divertente. Versuchen und loslassen. Quanto alla Norvegia...
Avevamo un piano interessante per il quarto giorno. Lasciare gli zaini e tutto il bagaglio inutile alla shunt, risalire la valle fino a sotto un grande monte, aggirare il ghiacciaio che circondava il lato nord del monte e salirci, per godere di una meravigliosa vista dai mille e ottocento e rotti della cima. Cosi´ l´abbiamo messa in pratica, l´idea. Che meraviglia, bisogna dirlo, camminare senza zaini dopo tre giorni di fatiche!
Contenti, siamo arrivati al fiume che costeggiava il lato sud del monte. A quel punto io e M. siamo andati in esplorazione, per verificare la possibilita´ di guadare il fiume. Questo era il nostro piano infatti, dato che seguire il sentiero sarebbe stato troppo lungo. Insomma, ci siamo messi in marcia, anzi, abbiamo incominciato a corricchiare seguendo il fiume, con l´occhio pronto a captare ogni possibilita´. Tuttavia non ce n´erano. Era chiaro che il fiume era troppo possente per essere guadato, a meno di non volersi prendere rischi inutili. Non solo: abbiamo anche perso il meeting point con gli altri. E a M. faceva male il piede per la ferita del giorno prima, apertasi durante il tentativo - riuscito - di salvare le scarpe di D.. Abbiamo rifatto la strada fino al punto dove ci eravamo separati. Nessuna traccia dei tre. Abbiamo incominciato a preoccuparci, e la preoccupazione ha accentuato i dolori di M..
Per farla breve, ho cominciato a seguire il sentiero di corsa, sperando di trovare tracce dei nostri. Poco dopo ho incontrato una forma d vita: una coppia di tedeschi che mi hanno confermato di aver visto un gruppo di ragazzi precedentemente. A dire il vero li avevo gia´ incontrati poco prima i tedeschi, e avevo scambiato anche quattro chiacchiere con loro. Se mi avessero detto, o almeno accennato al loro incontro con i tre ci saremmo risparmiati un sacco di fatiche. Peraltro e´ stato piuttosto strano non averli visti. Infatti, poco prima del primo incontro con i tedeschi, mentre io e M. ci aggiravamo lungo le creste alla ricerca dei nostri compagni perduti, li avevo visti i tre, che erano due, perche´ G. si era allontanato. Poi avevo incontrato M. e avevamo stabilito che la coppia che era in vista non erano i nostri compagni. Il problema e´ che la coppia che in vista allora non era la stesso che avevo visto io! Assurdo...
Comunque sia, avendo capito che erano molto piu´ in la di quanto non pensassimo, ho corso con abilita´ sul sentierino (rischiando di sfasciarmi la caviglia, ad un certo punto), fino a quando non sono arrivato ad un ponte sospeso, dove li ho visti, i nostri. Per fortuna il ponte sospeso aveva i corrimano, e, anche se era molto meno stabile del precedente, questo mi infondeva sicurezza. Mi sono sentito la predica di G. sul fatto che ci eravamo persi e ci siamo riavviati sul sentiero, dove con M. ci eravamo accordati che ci saremmo ritrovati. Nel frattempo avevamo anche realizzato che ci saremmo dovuti portare gli zaini la mattina, in quanto il sentiero che aggirava la montagna era lo stesso che dovevamo seguire per arrivare al nostro prossimo campo... insomma, una giornata faticosa.
Abbiamo, quindi, rifatto la terribile salita della valle, che con gli zaini e´ stato un ostacolo notevole, e ci siamo messi in marcia sul sentiero - e, per fortuna, qua si intende con la parola "sentiero" un sentiero vero e proprio, anche se a malapena visibile. Peraltro molto frequentato da arzilli vecchietti - fino ad arrivare ad una splendida vista su un lago e sul rifugio sulle sue sponde. Come al solito avevamo due possibilita´: il sentiero aggirava molto alla larga il lago, passando poi subito sotto un ghiacciaio che, in pratica, arrivava quasi fino alle sponde del lago. L´altra possibilita´ era, naturalmente, tagliare sulla sponda sinistra del lago, alla ricerca di una discesa, sicuramente complicata. La discesa sarebbe comunque avvenuta il giorno dopo, di mattina, appena svegli. E c´era la possibilita´, scegliendo questa seconda alternativa, di trovare una shunt per riscaldarsi. Cosicche´, via, abbiamo cominciato a tagliare, con M. che ci precedeva attento a non farci perdere. Meravigliosamente, abbiamo subito trovato un sentiero per pastori che sembrava voler esattamente costeggiare la montagna sui bordi del lago, che noi pensavamo avremmo dovuto costeggiare fuori pista. Siamo cosi´ arrivati ad un piccolo altipiano dove c´era dell´acqua, a poca distanza dalla shunt. D. era di nuovo in ambasce. Cosi´ sono stato mandato privo di zaino in esplorazione, alla ricerca della casetta, o comunque di un posto per fermarsi. La shunt non c´era, e nemmeno troppa acqua, ma li´ vicino c´era un ottimo posto per piantare le tende. E cosi´ ci siamo arrivati, lentamente, e abbiamo piazzato il campo.
Nel frattempo, D. ha cominciato a sentirsi veramente male. Alcune sue frasi rimarranno nella storia. Comunque non faceva troppo freddo, si stava bene in maglietta, e dopo cena tutti hanno sentito il bisogno di stare un po´ da soli a riflettere. Succede... La notte dopo si preparava, intanto, la catastrofe.

martedì, agosto 22, 2006

Norvegia III: D.M. e´ tornato

Il mio collega, D.M., e´ tornato. Sono riuscito a vedere le foto della Norvegia sul suo laptop. Appena me le masterizza conto di metterne qualcuna sul blog.
Un brutta sorpresta, la mattina del terzo giorno. Freddo di notte, e di mattina l´interno delle tende: umido. Quasi bagnato. Mi si profila un incubo: l´equipaggiamento non teneva la pioggia. Ancora una volta, come il giorno prima vedevo la nostra escursione terminare prima del tempo. Ho scoperto di essere abbstanza ansioso in questi giorni. Ed ho anche scoperto che la faccenda e´ molto migliorata col passare dei giorni, per fortuna. Di necessita´: virtu´. Per fortuna non erano le tende che non tenevano la pioggia. Il giorno prima, fiduciosi in un cielo sereno a perdita d´occhio, non avevamo palettato le tende, e cosi´ l´umidita´ del lago si era condensta. Incredibile quanta condensa, davvero. Una partenza efficiente quella mattina. D. era di nuovo in forma e abbiamo marciato con abilita´ di mattina. Obiettivo: le "power lines". Avevamo deciso infatti, di salire sul monte piu´ alto della zona. Per far questo c´erano due strade: seguire il sentiero, deviando di molti chilometri (e pregiudicando forse la possibilita´ di arrivare a Edfjord in tempo) o fidarci dell´abilita´ di coastguard di M. e tagliare direttamente verso il monte, risparmiando cosi´ numerosi chilometri. Inutile dire quale e´ stata la nostra scelta. L´abbandono del sentiero era previsto all´altezza delle "power lines", unico di segno di civilta´ in un una zona che non sembrava conoscerne. Cosicche´ arrivati alle power lines ci siamo fermati a fare colazione - abbiamo rapidamente preso l´abitudine, infatti, di svegliarci verso le sei e trenta, smontare il campo, camminare due o tre ore, e dopo fermarci a fare colazione, memori della bella sensazione del primo giorno, in cui avevamo fatto chilometri e chilometri prima che scoccasse mezzoggiorno - e abbiamo riempito le borracce. E mentre M. studiava il percorso, ci preparavamo ad una lunga marcia. Speravamo, infatti, di accamparci vicino un lago piuttosto distante, e non sapevamo se saremmo stati in grado di arrivarci. Fatto sta che ci siamo messi in marcia con una lena degna di miglior causa, attraverso un paesaggio lunare, privo di alberi, costellato in continuazione di laghetti, tagliando su e giu´ per vari dirupi. Inutile dire la fatica che facevamo, carichi come eravamo di pesanti zaini. L´ultima prova e´ stata abbsatanza terribile: arrampicatici su di una montagna molto ripida - costretti ad usare le mani - ci siamo trovati in ambasce al momento di scendere. Ripido, sassoso e franoso. Abbiamo mandato tutti avanti senza zaini, e poi io e M. li abbiamo traghettati senza troppe difficolta´. Comunque sia un procedimento lungo e faticoso. Dopodiche´ abbiamo ripreso a marciare con lena, sempre su saliscendi, anche se relativamente dolci, fino a quando ci siamo arrivati, al lago. Ad una serie di laghi, a dire il vero. Che ci mettevano di fronte ad un dilemma: aggirarli, camminando per chilometri e chilometri, rischiando di fare molto tardi - nel frattempo avevamo scelto come meta una shunt accanto al lago trovata sulla cartina - o cercare un guardo in una strettoia del lago. Cosi´ abbiamo fatto. Arrivati in vista della shunt, siamo stati costretti a guadare. L´acqua era fredda, le pietre scivolosissime e taglienti, e sono stati forse i dieci metri piu´ lunghi della mia vita, con quell´acqua gelata alle ginocchia. Qualcuno di noi e´ mezzo caduto, e mai dimentichero´ D. che lancia le sue scarpe, prima una e poi l´altra al centro del lago, invece che sulla riva opposta, cosi´ come M. che si e´ massacrato i piedi per impedire che una scarpa scivolasse verso la parte grande del lago. La shunt era accessibile: li´ abbiamo messo il campo e cucinato. Tre di noi hanno anche dormito all´interno, io e D. fuori, ma non era freddo, si stava benissimo anche in maglietta e felpa. Solo uno di noi sembrava non essere riuscito a passare indenne la traversata: D.P. che tremava di freddo e di stanchezza. Ma la shunt e il suo calore, e la saggia cucina di G. hanno fatto il loro dovere, permettendoci di andare a dormire senza ulteriori preoccupazioni.

lunedì, agosto 21, 2006

Noreviga II: Sombunall

«Everybody is free to wear sunscreen.»

Baz Luhrman


Il titolo serva da ricordo e ancora per il bellissimo seminario di PhotoReading che ho seguito questo fine settimana. Sicuramente ne parlero´ piu´ a fondo, appena avro´ finito la serie sulla Norvegia. L´epigrafe, invece, e´ per ricordarmi un bel testo, tipicamente in american style, che il mio amico di sempre B.C. mi ha fatto ascoltare a Milano. Auguri a lui, alla sua simpaticissima e dolce ragazza, di trovare la loro strada e la felicita´ che cercano.
Myrdal, e´ li che eravamo rimarsi. Siamo scesi alla stazione di Myrdal alle quattro e cinquanta in punto. Usciamo dalla stazione e cominciamo a guardarci intorno alla ricerca della citta´. Avevamo infatti bisogno di una mappa di massima che ci permettese di arrivare alla zona coperata dalla cartina che avevamo trovato ad Oslo. Nesusna citta´ in vista. Un B&B e un negozio, pero´. Ed e´ li che capiamo, che Myrdal, la citta´ era quello che noi potevamo vedere da li´: una stazione, un B&B e un negozio. Al freddo dell´alba norvegese, decidiamo allora di mandare una spedizione a cercare cartine o altre cose di utilita´. Si avviano, loro, lemme lemme, fino ad esaurire la pazienza dei consoli. Cosi´ mandavamo D. dietro di loro ad esortarli.
Dopo un po´ tornavano tutti, e con grande disappunto scoprivamo che, come era abbastanza ovvio era tutto chiuso. Fa nulla ci diciamo: siamo sulla Rallarvegen e la Rallarvegen ci porta direttamente all´interno della mappa, se la seguiamo nella giusta direzione. Cosi´ ci mettiamo in marcia. Un sentiero piacevole, all´inizio, questa Rallarvegen. Utilizzabile veramente come pista ciclabile. Attraversiamo qualche altro agglomerato di case, sempre una o due, fino a quando, dopo qualche ora di marcia, arriviamo ad un rifugio, dove decidiamo di fermarci per fare colazione. Abbondante, ovviamente, con i nostri marroni e il nostro miele. Conversiamo un po´ con l´oste, uscito insieme al suo cane per parlare con noi, e lui ci promette meraviglie da questa Rallarvegen.
A dir la verita´ fino ad ora era certo carina, con tutti i suoi laghi, ma altrettanto certamente non era la Norvegia dei Vichinghi che ci ervamo venuti a cercare. Anche se, bisogna dirlo, il rifugio era in una posizione ideale: vicino ad una cascata che alimentava un piccolo fiume che sfociava in un lago. Bello. Per farla breve, ripartiamo e incominciamo, lentamente a salire. La salita, diviene sempre meno lenta e piu´ ripida e la strada piu´ stretta, anche se rimaneva un sentiero comodo. La´ capiamo che stavamo salendo sull´altipiano verso il quale eravamo diretti. Bella passeggiata: un po´ stancante, se non si e´ dormito, ma piacevole. Dopo un´oretta siamo arrivati sulle rive di un lago freddo e meraviglioso, quasi ai confini della nostra mappa. Bello. Ci siamo fermati, abbiamo mangiato la nostra cioccolata, e siamo ripartiti per quella che mi sembrava una tappa faticosissima e terribile, sotto un sole battente.
Tre, forse quattro ore di marcia, con un´unica breve pausa su un altro lago (tutto il percorso di oggi costeggiava questi enormi laghi che ci accoglievano sull´altipiano), tentando di non scontrarci con gli innumerevoli ciclisi che incrociavamo e di non soffrire troppo il sole battente e la mancanza di sonno. Dopo qualche ora di questa fatica siamo arrivati al bivio che poi portava al ponte, dove cominciava l´ultima parte della nostra fatica. Il bivio era sotto un rifugio, e, come per incanto, appena inoltratici in questo sentiero a malapena visibile, solo figura dei "sentieri" dei giorni dopo, eravamo soli. Niente biciclette, bambini, donne che prendono il sole. Nulla. Noi e la strada. Dopo qualche minuto, veramente pochi, siamo arrivati al primo ostacolo.
Un ponte. Per cosi´ dire, un ponte. Un pezzo di ferro appoggiato fra due rocce, e sotto, una cascata. Stabile, certo, non traballante, ma senza corrimano. Devo ammettere che sono rimasto terrorizzato gia´ quando l´ho visto di lontano e ho capito che dovevo passarci sopra. Terrorizzato, a differenza dei miei compagni, dalla vicenda, devo confessare che l´ho attraversato carponi, come un gatto. Non che questo abbia migliorato la mia stabilita´. Anzi: non fatelo mai, soprattutto se avete uno zaino pesante. Il vento sballottera´ il vostro zaino e non potrete spostare il vostro baricentro nemmeno di mezzo centimetro, se non usando la forza bruta. Pericoloso. Subito dopo, una piacevole pausa, di cui ho un ricordo strano: come se non fossimo soli sulla montagna, ma in un posto molto frequentato. Certo perche´ il fiume era molto rumoroso e il ponte aveva un aspetto sufficientemente high-tech (!?).
Finita una lunga pausa - chi ne ha approfittato per lavarsi in un´ansa del fiume, rischiando il congelamento, chi, come me, per mangiare una scatoletta di tonno, ovviamente con le mani, per non perdere tempo a cercare le forchette - ricordo ancora benissimo che alle tre siamo ripartiti, sul sentiero. Difficile definirlo un sentiero. L´unica cosa che lo qualificava come tale era l´essere segnalato. Non certo battuto. E´ mentre compivamo quest´ultima tappa, interrotta prematuramente per cause di forza maggiore, che abbiamo cominciato a cantare i nostri ottonari in stile Full Metal Jacket. Divertente.
Dopo circa un´ora e mezza di marcia, ci siamo fermati, perche P. era "un po´ stanco". M. ne approfittava per andare a cercare la strada. P. si stendeva. Privo di parole e di forze. "Non riesco a respirare - diceva - mi tremano le gambe". "Ahiahi" ho pensato "Ecco come finisce la nostra vacanza.". Molto semplice: colpo di sole, stanchezza, mancanza di sonno. Io e M. abbiamo cominciato a cercare un campo, ed e´ allora, meraviglia delle meraviglie, che si e´ aperto di fronte a noi, mentre risalivamo un ruscello, a forse 50 metri da dove D. giaceva, assistito da D.P. e G., un meraviglioso laghetto di montagna, con una zona piana, piena di erba, protetta dal vento, per mettere le nostre tende. Cosi´ abbiamo cominciato a mettere il campo, stanchi dalla marcia, affaticati dal sonno, che ci faceva sentire anche piu´ del freddo che in realta´ c´era. Persino M. era pigro e riluttante a lavorare, il nostro capitano rosso.
Ma cosi´ e´: abbiamo registrato il diario, mangiato, messo il campo senza troppa efficienza e ce ne siamo andati a dormire, stanchi, ma felici della nostra prima giornata.

mercoledì, agosto 16, 2006

Norvegia I: Oliver Sacks

Oggi scrivo senza un´epigrafe. Mi e´ piaciuto molto un libro che ho finito ieri: "L´uomo che scambio´ sua moglie per un cappello" di Oliver Sacks. Interessante e profondamente umano, mi ha aiutato a chiarire e ordinare idee, intuizioni, piccole rivelazioni che faccio quotidianamente su di me. Bello.
Comunque sia, scrivero´ qui un piccolo diario "a posteriori" del nostro viaggio in Norvegia. Il primo giorno, il 3 agosto, per essere precisi, e´ stato un giorno di viaggio. Mi sono svegliato presto, a casa di una mia cara amica che abita a Milano. Presto: alle 5 e 30. L´ho salutata - lei aveva insistito per questo la sera prima - e mi sono messo in cammino verso la stazione sotto una leggere pioggia ed un cielo nuvoloso, in fondo piacevoli dopo 4 giorni di gran caldo a Milano. Con un bus sono arrivato fino ad Orio al Serio, dove ero atteso dall´aereo che ci avrebbe portato ad Torp, e dai miei amici baresi. Brevi e calorosi saluti, prima di riordinare gli zaini per la partenza. La nostra scarsa esperienza ci ha portati ancora una volta a portare un po´ troppe cose. In particolare alcuni di noi erano molto carichi di vestiti e questo ci ha creato problemi di volume. Fatto che sta che ce l´abbiamo fatta. Il volo fino a Torp e´ stato tranquillo e piacevole; qualche lieve turbolenza sulle alpi che hanno spaventato P. e D., che non sono dei veterani del volo. Torp: abbiamo, dopo qualche breve discussione, preso un autobus per Drammen, evitando di arrivare fino ad Oslo. Scelta intelligente, dato che Drammen e´ uno snodo del nostro itinerario. Certo, se non fosse che, dopo tre quarti d´ora di viaggio ed una piacevole conversazione con M. (primo passo per recuperare la nostra intimita´ amicale, che si perde lentamente durante ogni mia permanenza in germania), l´autista ha avuto la brillante idea di abbandonarci ad un autogrill nella periferia di Drammen. Ancora poco efficienti, abbiamo impiegato troppo tempo a raggiungere il centro (fermandoci ripetutamente in negozi, pur consapevoli di non aver ancora cambiato gli euro in corone). Arrivati in centro, abbiamo trovato, meraviglia!, una banca aperta che ci ha cambiato gli euro... abbiamo visto che il treno per Myrdal partiva a mezzanotte (alle 23 e 44, per la precisione) e siamo tornati verso un prato sulle sponde del fiume di Drammen (di cui non ricordo il nome), non prima di verificare che i bus, decisamente meno costosi in Norvegia, non ci avrebbero aiutato. Costeggiando il prato sono stato apostrofato da un vichingo che ci aveva visti passare gia´ piu´ volte: "What are you doing?". Sorpreso, stanco e desideroso di sedermi, gli ho risposto aggressivamente: "What is your problem?", da buon barese. Stupito dalla mia feroce reazione il vichingo si e´ un po´ innervosito e, per farla breve, abbiamo impiegato qualche minuto per palesarci a vicenda le nostre intenzioni amichevoli. Dopodiche´ si e´ unito a noi e abbiamo chiacchierato amabilmente, interrotti, solo da alcune interruzioni per mangiare, cercare le cartine e preparare gli zaini per la marcia. All´ora stabilita ci siamo mossi verso la stazione e abbiamo aspettato il nostro treno. Per Myrdal. La citta´ di Myrdal.
Il treno era freddino e scomodo, ma ognuno era fornito di una copertina di pail gentilmente offerta dalle ferrovie norvegesi. Di fronte a me sedeva una ragazza di colore, e G. si e´ messo a conversare con un pescatore armato di cane, per avere informazioni sulla zona dove saremmo scesi. E´ stato gentile e utile, e lo abbiamo subito soprannominato "Rallarvegen", che e´ il nome della pista ciclabile (!?) su cui ci saremmo incamminati. Breve sonno interrotto, un´alba molto presto e siamo arrivati a Myrdal, in perfetto orario, alle 4 e 40. Il resto a domani.