A distanza di più di un anno sono andato a rileggermi un vecchio post su Borborigmi e l'interessante discussione che ne è seguita (anche se ha rischiato più volte di degenerare in un flame).
Mi ero ripromesso, allora, di dire la mia con calma.
Oggetto del discutere è: quanto è necessario conoscere tutti i prerequisiti di una certa materia per potersene fare un opinione competente? Per fare un esempio: è possibile che io affermi di capire qualcosa di meccanica quantistica avendo solo un'infarinature di calcolo delle probabilità? Oppure ancora: posso capire il calcolo delle probabilità senza conoscere la teoria della misura? Oppure ancora [ad libitum sfumando...]
Secondo Marco (l'autore di Borborigmi) la risposta è: molto. (In realtà la sua opinione è un po' più elaborata: invito a leggere il post e la seguente discussione).
Secondo me la risposta è: poco.
Dopo qualche anno passato a fare ricerca attiva (in due campi completamente differenti) mi sono fatto questa idea: ogni comunità scientifica ha degli assiomi da cui si sviluppa la ricerca. Questi assiomi sono dei fatti provenienti da discipline più basilari che sono riconosciuti come veri e importanti da gli scienziati che lavorano in un certo campo. Tuttavia, possono essere oggetto di ricerca per scienziati in un altro campo. La conoscenza di tali assiomi è ciò che è necessario per formarsi un'opinione competente.
Faccio un esempio con qualcosa che mi è familiare: nei corsi di Analisi Funzionale si insegna generalmente il teorema di Hahn-Banach (afferma che ci sono un numero sufficiente di forme lineari definite su uno spazio di Banach, più o meno). Questo fatto è accettato come un dogma dai "semigruppisti" (la comunità, per così dire, dove lavoravo prima di andare a fare neuroscienze) (sono dei matematici che risolvono le equazioni differenziali alle derivate parziali usando l'analisi funzionale). Tuttavia, per alti matematici, che magari lavorano su temi più di base: il teorema di Hahn-Banach (o argomenti correlati) è un campo di ricerca a se stante: in quali spazi vale? qual'è la dimostrazione minima? quali ne sono le generalizzazioni?
Tutto ciò però non serve ai semigruppisti: a loro interessa solo che tale teorema esista per provare i loro teoremi. Ad esempio: il teorema di Hille-Yosida (specifica le condizioni di buona positura per problemi di Cauchy astratti).
Facendo un salto avanti, potremmo adesso rivolgersi a quanto fanno i meccanici quantistici (?!) quando studiano l'equazione di Schrödinger, calcolandone attentamente lo spettro. Di solito non si pongono il problema della buona positura. Suppongono semplicemente che il problema lo sia. Per loro, per così dire, l'assioma è il teorema di Hille-Yosida, che però è per i semigruppisti un attivo terreno di ricerca.
Risalendo la gerarchia arriviamo ai fisici dei laser, o magari ai chimici, su su fino ai biologi, psicologi e scienziati sociali. [E qua mi fermo, ad essere sinceri non so se ho voglia di includere i letterati in questa gerarchia del sapere :-)].
Quindi: ciò che è necessario per farsi un'opininone competente in una materia non è la conoscenza dei prerequisiti, ma la conoscenza degli assiomi della materia in considerazione. La conoscenza dei prerequisiti è certamente un vantaggio, e fa magari la differenza fra un buon scienziato e uno scienziato eccellente, ma certamente non è necessaria all'uomo della strada per capire di cosa parlano gli scienziati.
sabato, maggio 21, 2011
venerdì, maggio 20, 2011
Correlazioni in popolazioni neurali
Settimana ricca di soddisfazioni!
Oggi è apparso un altro articolo in cui sono coautore: Volker, un dottorando del nostro centro, ha passato l'anno scorso a impratichirsi dei segreti della teoria di Hawkes sulle reti di processi puntuali interagenti linearmente.
Il risultato è un approccio capace di decomporre le correlazioni fra le attività dei nodi in una tale rete grazie ad alcune proprietà della serie geometrica.
Non voglio togliervi il gusto della scoperta: qua si trova l'articolo originale, open access su PLoS Comp Bio e qua la press release del BCF, in inglese.
Oggi è apparso un altro articolo in cui sono coautore: Volker, un dottorando del nostro centro, ha passato l'anno scorso a impratichirsi dei segreti della teoria di Hawkes sulle reti di processi puntuali interagenti linearmente.
Il risultato è un approccio capace di decomporre le correlazioni fra le attività dei nodi in una tale rete grazie ad alcune proprietà della serie geometrica.
Non voglio togliervi il gusto della scoperta: qua si trova l'articolo originale, open access su PLoS Comp Bio e qua la press release del BCF, in inglese.
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lunedì, maggio 16, 2011
Particelle perse nel nulla di uno spazio infinito
Su Linear Algebra and its Applications è stata appena pubblicata la mia ultima fatica.
Il messaggio principale dell'articolo è il seguente: l'equazione di diffusione su un grafo infinito non soddisfa necessariamente la conservazione di probabilità. Per essere più precisi: la conserva se e solo se tutti i nodi hanno grado finito.
La dimostrazione è abbastanza semplice, ma vorrei tentare di spiegare in maniera non tecnica qual'è la ragione di questo comportamento bizzarro.
Il problema è il seguente: immaginate di avere un grafo e una particella che si muova di moto browniano in prossimità di un nodo. Quando codesta particella arriva all'incrocio dei vari lati, che si incontrano nel nodo, non avrà una velocità ben definita, come accade per particelle che si muovono di moto browniano: la sua velocità cambia in continuazione in maniera discontinua.
Tale particella dunque, nel suo muoversi disordinato, proverà prima un lato, poi l'altro, e poi alla fine, una serie di fluttuazioni che indichino in continuazione un certo lato la porteranno abbastanza lontano dal nodo da non ricaderci più dentro.
Quello che succede se però il nodo è di grado infinito è che la particella non ha maniera di decidersi per un lato! Non appena una fluttuazione la porta su un lato, la fluttuazione "successiva" la porterà necessariamente su un altro, dato che sono infiniti, e così via fluttuando.
Una particella arrivata su un nodo di grado infinito non ne può più uscire. Al nodo si applica, in pratica, una condizione al bordo di Dirichlet.
E come vi è sicuramente noto, le equazioni di diffusione con condizioni di Dirichlet non conservano la probabilità!
Il messaggio principale dell'articolo è il seguente: l'equazione di diffusione su un grafo infinito non soddisfa necessariamente la conservazione di probabilità. Per essere più precisi: la conserva se e solo se tutti i nodi hanno grado finito.
La dimostrazione è abbastanza semplice, ma vorrei tentare di spiegare in maniera non tecnica qual'è la ragione di questo comportamento bizzarro.
Il problema è il seguente: immaginate di avere un grafo e una particella che si muova di moto browniano in prossimità di un nodo. Quando codesta particella arriva all'incrocio dei vari lati, che si incontrano nel nodo, non avrà una velocità ben definita, come accade per particelle che si muovono di moto browniano: la sua velocità cambia in continuazione in maniera discontinua.
Tale particella dunque, nel suo muoversi disordinato, proverà prima un lato, poi l'altro, e poi alla fine, una serie di fluttuazioni che indichino in continuazione un certo lato la porteranno abbastanza lontano dal nodo da non ricaderci più dentro.
Quello che succede se però il nodo è di grado infinito è che la particella non ha maniera di decidersi per un lato! Non appena una fluttuazione la porta su un lato, la fluttuazione "successiva" la porterà necessariamente su un altro, dato che sono infiniti, e così via fluttuando.
Una particella arrivata su un nodo di grado infinito non ne può più uscire. Al nodo si applica, in pratica, una condizione al bordo di Dirichlet.
E come vi è sicuramente noto, le equazioni di diffusione con condizioni di Dirichlet non conservano la probabilità!
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