A distanza di più di un anno sono andato a rileggermi un vecchio post su Borborigmi e l'interessante discussione che ne è seguita (anche se ha rischiato più volte di degenerare in un flame).
Mi ero ripromesso, allora, di dire la mia con calma.
Oggetto del discutere è: quanto è necessario conoscere tutti i prerequisiti di una certa materia per potersene fare un opinione competente? Per fare un esempio: è possibile che io affermi di capire qualcosa di meccanica quantistica avendo solo un'infarinature di calcolo delle probabilità? Oppure ancora: posso capire il calcolo delle probabilità senza conoscere la teoria della misura? Oppure ancora [ad libitum sfumando...]
Secondo Marco (l'autore di Borborigmi) la risposta è: molto. (In realtà la sua opinione è un po' più elaborata: invito a leggere il post e la seguente discussione).
Secondo me la risposta è: poco.
Dopo qualche anno passato a fare ricerca attiva (in due campi completamente differenti) mi sono fatto questa idea: ogni comunità scientifica ha degli assiomi da cui si sviluppa la ricerca. Questi assiomi sono dei fatti provenienti da discipline più basilari che sono riconosciuti come veri e importanti da gli scienziati che lavorano in un certo campo. Tuttavia, possono essere oggetto di ricerca per scienziati in un altro campo. La conoscenza di tali assiomi è ciò che è necessario per formarsi un'opinione competente.
Faccio un esempio con qualcosa che mi è familiare: nei corsi di Analisi Funzionale si insegna generalmente il teorema di Hahn-Banach (afferma che ci sono un numero sufficiente di forme lineari definite su uno spazio di Banach, più o meno). Questo fatto è accettato come un dogma dai "semigruppisti" (la comunità, per così dire, dove lavoravo prima di andare a fare neuroscienze) (sono dei matematici che risolvono le equazioni differenziali alle derivate parziali usando l'analisi funzionale). Tuttavia, per alti matematici, che magari lavorano su temi più di base: il teorema di Hahn-Banach (o argomenti correlati) è un campo di ricerca a se stante: in quali spazi vale? qual'è la dimostrazione minima? quali ne sono le generalizzazioni?
Tutto ciò però non serve ai semigruppisti: a loro interessa solo che tale teorema esista per provare i loro teoremi. Ad esempio: il teorema di Hille-Yosida (specifica le condizioni di buona positura per problemi di Cauchy astratti).
Facendo un salto avanti, potremmo adesso rivolgersi a quanto fanno i meccanici quantistici (?!) quando studiano l'equazione di Schrödinger, calcolandone attentamente lo spettro. Di solito non si pongono il problema della buona positura. Suppongono semplicemente che il problema lo sia. Per loro, per così dire, l'assioma è il teorema di Hille-Yosida, che però è per i semigruppisti un attivo terreno di ricerca.
Risalendo la gerarchia arriviamo ai fisici dei laser, o magari ai chimici, su su fino ai biologi, psicologi e scienziati sociali. [E qua mi fermo, ad essere sinceri non so se ho voglia di includere i letterati in questa gerarchia del sapere :-)].
Quindi: ciò che è necessario per farsi un'opininone competente in una materia non è la conoscenza dei prerequisiti, ma la conoscenza degli assiomi della materia in considerazione. La conoscenza dei prerequisiti è certamente un vantaggio, e fa magari la differenza fra un buon scienziato e uno scienziato eccellente, ma certamente non è necessaria all'uomo della strada per capire di cosa parlano gli scienziati.
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sabato, maggio 21, 2011
lunedì, maggio 16, 2011
Particelle perse nel nulla di uno spazio infinito
Su Linear Algebra and its Applications è stata appena pubblicata la mia ultima fatica.
Il messaggio principale dell'articolo è il seguente: l'equazione di diffusione su un grafo infinito non soddisfa necessariamente la conservazione di probabilità. Per essere più precisi: la conserva se e solo se tutti i nodi hanno grado finito.
La dimostrazione è abbastanza semplice, ma vorrei tentare di spiegare in maniera non tecnica qual'è la ragione di questo comportamento bizzarro.
Il problema è il seguente: immaginate di avere un grafo e una particella che si muova di moto browniano in prossimità di un nodo. Quando codesta particella arriva all'incrocio dei vari lati, che si incontrano nel nodo, non avrà una velocità ben definita, come accade per particelle che si muovono di moto browniano: la sua velocità cambia in continuazione in maniera discontinua.
Tale particella dunque, nel suo muoversi disordinato, proverà prima un lato, poi l'altro, e poi alla fine, una serie di fluttuazioni che indichino in continuazione un certo lato la porteranno abbastanza lontano dal nodo da non ricaderci più dentro.
Quello che succede se però il nodo è di grado infinito è che la particella non ha maniera di decidersi per un lato! Non appena una fluttuazione la porta su un lato, la fluttuazione "successiva" la porterà necessariamente su un altro, dato che sono infiniti, e così via fluttuando.
Una particella arrivata su un nodo di grado infinito non ne può più uscire. Al nodo si applica, in pratica, una condizione al bordo di Dirichlet.
E come vi è sicuramente noto, le equazioni di diffusione con condizioni di Dirichlet non conservano la probabilità!
Il messaggio principale dell'articolo è il seguente: l'equazione di diffusione su un grafo infinito non soddisfa necessariamente la conservazione di probabilità. Per essere più precisi: la conserva se e solo se tutti i nodi hanno grado finito.
La dimostrazione è abbastanza semplice, ma vorrei tentare di spiegare in maniera non tecnica qual'è la ragione di questo comportamento bizzarro.
Il problema è il seguente: immaginate di avere un grafo e una particella che si muova di moto browniano in prossimità di un nodo. Quando codesta particella arriva all'incrocio dei vari lati, che si incontrano nel nodo, non avrà una velocità ben definita, come accade per particelle che si muovono di moto browniano: la sua velocità cambia in continuazione in maniera discontinua.
Tale particella dunque, nel suo muoversi disordinato, proverà prima un lato, poi l'altro, e poi alla fine, una serie di fluttuazioni che indichino in continuazione un certo lato la porteranno abbastanza lontano dal nodo da non ricaderci più dentro.
Quello che succede se però il nodo è di grado infinito è che la particella non ha maniera di decidersi per un lato! Non appena una fluttuazione la porta su un lato, la fluttuazione "successiva" la porterà necessariamente su un altro, dato che sono infiniti, e così via fluttuando.
Una particella arrivata su un nodo di grado infinito non ne può più uscire. Al nodo si applica, in pratica, una condizione al bordo di Dirichlet.
E come vi è sicuramente noto, le equazioni di diffusione con condizioni di Dirichlet non conservano la probabilità!
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mercoledì, ottobre 21, 2009
FM09010 (I)
So, let us start we the new lecture: Fourier methods and their applications to neuroscience.
Preliminary disclaimer: there are many many approaches to the topic. I will follow this one. In fact, Osgood's lecture is by far better than what I can hope to do in my life, but he has a slow pace which is not suitable for PhD students at the BCCN.
In the first lecture we explained the basic idea, which is simple: you have a complex periodic function (where complex stays for both "complicated" and "not real") and you want to represent it as weighted sum of simpler (but also not real) periodic functions. For definiteness, let us say that all functions have period 1.
We can choose to use trigonometric functions or complex exponentials. We will choose the complex exponentials for different reasons. To be precise, we want to express any periodic function of period 1 as the weighted (probably infinite) sum of the functions
The difficult problem is: how to find the weights for the sum? It goes in the following way. You start from what you are looking for
Here, the numbers
You divide by the complex exponential obtaining
For this you have to use all properties of the complex exponentials. Which is, by the way, only one. And in fact it is the same as for the real exponential: "sum is mapped into multiplication". This is one motivation for using complex exponentials instead of trigonometric functions.
You now have the problem that you have expressed one c_k in terms of the other ones, but you want to have c_k without its companions. Algebra gave us everything she could, so let us try with Analysis. He suggests to integrate between 0 and 1 (which is the period of all functions here) obtaining
The c_k, integrated, gives c_k! And now the magic. Compute the integral of the complex exponentials: it gives 0.
So, you are left with the famous expression
where we have introduced the symbol
Preliminary disclaimer: there are many many approaches to the topic. I will follow this one. In fact, Osgood's lecture is by far better than what I can hope to do in my life, but he has a slow pace which is not suitable for PhD students at the BCCN.
In the first lecture we explained the basic idea, which is simple: you have a complex periodic function (where complex stays for both "complicated" and "not real") and you want to represent it as weighted sum of simpler (but also not real) periodic functions. For definiteness, let us say that all functions have period 1.
We can choose to use trigonometric functions or complex exponentials. We will choose the complex exponentials for different reasons. To be precise, we want to express any periodic function of period 1 as the weighted (probably infinite) sum of the functions
e_n(t):=e^{2\pi nit}
where n ranges in the integers.The difficult problem is: how to find the weights for the sum? It goes in the following way. You start from what you are looking for
f(t)=\sum_{n \in \mathbb Z} c_n e^{2\pi nit}
Here, the numbers
c_n
are the (unknown!) weights of the linear combination that you want to represent the function f. We now try to isolate a single coefficient, say the kth, to know whether is possible to get a formula for a single coefficient depending only on f and not on the other coefficients. So you get
f(t)- \sum_{n\neq k} c_n e^{2\pi nit} = c_ke^{2\pi kit}
You divide by the complex exponential obtaining
f(t)e^{-2\pi kit}- \sum_{(n-k)\neq k} c_n e^{2\pi nit} = c_k
For this you have to use all properties of the complex exponentials. Which is, by the way, only one. And in fact it is the same as for the real exponential: "sum is mapped into multiplication". This is one motivation for using complex exponentials instead of trigonometric functions.
You now have the problem that you have expressed one c_k in terms of the other ones, but you want to have c_k without its companions. Algebra gave us everything she could, so let us try with Analysis. He suggests to integrate between 0 and 1 (which is the period of all functions here) obtaining
\int_0^1 f(t)e^{-2\pi kit} dt- \int_0^1\sum_{(n-k)\neq k} c_n e^{2\pi nit}dt = c_k
The c_k, integrated, gives c_k! And now the magic. Compute the integral of the complex exponentials: it gives 0.
So, you are left with the famous expression
\int_0^1 f(t)e^{-2\pi kit} dt- \int_0^1\sum_{(n-k)\neq k} c_n e^{2\pi nit}dt = c_k=:\hat{f}(k)
where we have introduced the symbol
\hat{f}(k)
. We will call this number by the suggestive name of the kth Fourier coefficient of f.
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venerdì, ottobre 02, 2009
Gioelli della matematica (I)
Oggi parliamo dell'articolo Über die Unbeschränktheit der Operatoren der Quantenmechanik di Helmut Wielandt, apparso sui Mathematische Annalen nel 1949.
Il titolo, tradotto in italiano, vuol dire "Sull'illimitatezza degli operatori della meccanica quantistica". Di cosa stiamo parlando? Semplificando un po, in meccanica quantistica tutte le grandezze diventano operatori. E se due grandezze
Questa relazione è detta la relazione canonica di commutazione, di più qui. Nel 1947 Wintner dimostrò, utilizzando una tecnica sviluppata da Rellich nel 1946, che due operatori che soddisfino le relazioni di commutazione devono essere illimitati. Tale dimostrazione era però complicata, e nel 1949 Wielandt diede una dimostrazione elementare di questo fatto. Come funziona?
Wielandt parte dall'osservazione che, se
Da questo fatto, e dalla disuguaglianza triangolare inversa applicata alla norma operatoriale di A e B, ottiene una stima della norma di B
L'attento lettore avrà già capito che questa stima implica chel'unico operatore limitato che soddisfa le relazioni di commutazione è l'operatore nullo non esistono operatori limitati che soddisfano le relazioni di commutazione.
Il titolo, tradotto in italiano, vuol dire "Sull'illimitatezza degli operatori della meccanica quantistica". Di cosa stiamo parlando? Semplificando un po, in meccanica quantistica tutte le grandezze diventano operatori. E se due grandezze
A,B
sono una la trasformata di Fourier dell'altra, allora devono soddisfare la relazione [A,B]=i \hbar
dove abbiamo indicato [A,B]=AB-BA
il commutatore dei due operatori.Questa relazione è detta la relazione canonica di commutazione, di più qui. Nel 1947 Wintner dimostrò, utilizzando una tecnica sviluppata da Rellich nel 1946, che due operatori che soddisfino le relazioni di commutazione devono essere illimitati. Tale dimostrazione era però complicata, e nel 1949 Wielandt diede una dimostrazione elementare di questo fatto. Come funziona?
Wielandt parte dall'osservazione che, se
[A,B]=1
allora [A,B^{n+1}]= (n+1)B^n
La dimostrazione di questo fatto è una semplice manipolazione algebrica e un'altrettanto semplice induzione.Da questo fatto, e dalla disuguaglianza triangolare inversa applicata alla norma operatoriale di A e B, ottiene una stima della norma di B
(n+1)|B^n|\leq 2|A||B||B^n|
che vale per tutti gli n.L'attento lettore avrà già capito che questa stima implica che
B=0
, di conseguenza anche A=0
, e così abbiamo ottenuto che
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venerdì, settembre 25, 2009
Moltiplicatori di Fourier
Ieri ho finalmente capito cosa sono, o meglio, realizzato qual è l'utilità dei moltiplicatori di Fourier.
Prima di spiegarlo, abbiamo bisogno di due premesse.
La prima premessa: la rappresentazione temporale e la rappresentazione spettrale di una funzione sono equivalenti, nel senso che contengono la stessa quantità di informazione.
La seconda premessa: in analisi funzionale spesso si considerano degli operatori lineari molto semplici, chiamati moltiplicatori; il moltiplicatore, chiamiamolo M, con una data funzione, diciamo m, è definito come
Ora, dato che come abbiamo detto rappresentazione temporale e rappresentazione spettrale sono equivalenti, è lecito utilizzare operatori di moltiplicazione anche per una funzione in dominio di frequenza. Cioè, se
Cui prodest? Qual è il vantaggio di tali operatori? Ma è chiaro! Che è possibile controllare esattamente come questi operatori agiscono sullo spettro!
Alcuni esempi importanti: il Laplaciano, la trasformata di Hilbert, tutti gli operatori di convoluzione, tutti gli operatori differenziali a coefficienti costanti sono moltiplicatori di Fourier.
Prima di spiegarlo, abbiamo bisogno di due premesse.
La prima premessa: la rappresentazione temporale e la rappresentazione spettrale di una funzione sono equivalenti, nel senso che contengono la stessa quantità di informazione.
La seconda premessa: in analisi funzionale spesso si considerano degli operatori lineari molto semplici, chiamati moltiplicatori; il moltiplicatore, chiamiamolo M, con una data funzione, diciamo m, è definito come
Mf(x) := m(x)f(x)
Questi operatori vengono studiati per la loro semplicità e perchè è possibile illustrare molte definizioni e molti teoremi utilizzando questi operatori. Ad esempio, lo spettro di un moltiplicatore (a meno di dettagli tecnici) corrisponde all'immagine della funzione m.Ora, dato che come abbiamo detto rappresentazione temporale e rappresentazione spettrale sono equivalenti, è lecito utilizzare operatori di moltiplicazione anche per una funzione in dominio di frequenza. Cioè, se
\mu
è una funzione, il moltiplicatore in dominio di frequenza è \mathcal Mf(\omega) := \mu(\omega)f(\omega)
Adesso siamo in grado di definire un moltiplicatore di Fourier T
, che è la rappresentazione temporale di un moltiplicatore in spazio di frequenza, cioè Tf= \mathcal F^{-1}\mathcal M \mathcal F f
Detto in italiano: consideriamo la rappresentazione spettrale di una funzione f; la moltiplichiamo con una funzione \mu
, e quello che otteniamo lo rappresentiamo temporalmente. Questa serie di operazioni definisce un moltiplicatore di Fourier.Cui prodest? Qual è il vantaggio di tali operatori? Ma è chiaro! Che è possibile controllare esattamente come questi operatori agiscono sullo spettro!
Alcuni esempi importanti: il Laplaciano, la trasformata di Hilbert, tutti gli operatori di convoluzione, tutti gli operatori differenziali a coefficienti costanti sono moltiplicatori di Fourier.
lunedì, gennaio 12, 2009
MCCN IX
Giovedì ci siamo occupati di equazioni differenziali ritardate. Quest'ultime sono equazioni della forma

Il loro carattere distintivo è che la derivata ad un certo tempo dipende dallo stato ad un tempo passato. Questo è importante in alcune questioni di modellazione; nelle neuroscienze, ad esempio, può servire includere in un modello i ritardi nella trasmissione dell'attività dovuti al tragitto che i potenziali d'azione devono percorrere lungo l'assone, o dovuti all'integrazione sinaptica.
Le equazioni con ritardo sono uno degli esemplici più classici di equazioni che possono essere risolte con l'aiuto di spazi di dimensione infinita. Questo lo si può vedere scrivendo l'equazione di cui sopra in forma infinitesimale

Se n è un numero finito, allora t+(n-1)e-1 è minore di t, e dato che questo vale per ogni n finito, allora se ne deduce (overspill!) che è necessario conoscere i valori assunti dalla funzione in tutto un intervallo (t-1,t) che precede t, per poterne costruire i valori nell'intervallo (t,t+1).
Questo vuol dire che è necessario specificare una intera funzione come valore iniziale, e quindi lo spazio degli stati è uno spazio di funzioni!
Il loro carattere distintivo è che la derivata ad un certo tempo dipende dallo stato ad un tempo passato. Questo è importante in alcune questioni di modellazione; nelle neuroscienze, ad esempio, può servire includere in un modello i ritardi nella trasmissione dell'attività dovuti al tragitto che i potenziali d'azione devono percorrere lungo l'assone, o dovuti all'integrazione sinaptica.
Le equazioni con ritardo sono uno degli esemplici più classici di equazioni che possono essere risolte con l'aiuto di spazi di dimensione infinita. Questo lo si può vedere scrivendo l'equazione di cui sopra in forma infinitesimale
Se n è un numero finito, allora t+(n-1)e-1 è minore di t, e dato che questo vale per ogni n finito, allora se ne deduce (overspill!) che è necessario conoscere i valori assunti dalla funzione in tutto un intervallo (t-1,t) che precede t, per poterne costruire i valori nell'intervallo (t,t+1).
Questo vuol dire che è necessario specificare una intera funzione come valore iniziale, e quindi lo spazio degli stati è uno spazio di funzioni!
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mercoledì, gennaio 07, 2009
Vector-valued diffusions
After a long break (we went to Hamburg for New Year's Day: it was cold and rainy but the Kunsthalle and the Hafenrundfahrt have been fantastic) I'm back on math.
Delio Mugnolo and me just uploaded on arXiv our last work on parabolic systems.
If you are analysing a diffusion equation on a graph, you usually define a measure space representing the network, and then define a scalar-valued diffusion on this network. Of course, you could take the symmetric way and choose to use a single interval, and to represent your diffusion equation as a 'diagonal', vector-valued diffusion. The graph structure is in both cases encoded in the non-diagonal coupling of the boundary conditions.
If you use this point of view, you maybe come up with the idea of use exactly the same approach on domains in order to obtain vector-valued diffusion equations with non-diagonal couplings in the boundary conditions.
This is exactly what Delio and me do in the paper: we study such systems, also because we are interested in understanding the connections of the these systems to gauge symmetries - if there are some.
PS: of course, you can also introduce coupling in the coefficients of the diffusion, and then it is no longer a 'diagonal' diffusion, but I only wanted to write a post, not a full article...
PPS: probably, in two or three week I also will upload on arXiv my first neuro-paper!
Delio Mugnolo and me just uploaded on arXiv our last work on parabolic systems.
If you are analysing a diffusion equation on a graph, you usually define a measure space representing the network, and then define a scalar-valued diffusion on this network. Of course, you could take the symmetric way and choose to use a single interval, and to represent your diffusion equation as a 'diagonal', vector-valued diffusion. The graph structure is in both cases encoded in the non-diagonal coupling of the boundary conditions.
If you use this point of view, you maybe come up with the idea of use exactly the same approach on domains in order to obtain vector-valued diffusion equations with non-diagonal couplings in the boundary conditions.
This is exactly what Delio and me do in the paper: we study such systems, also because we are interested in understanding the connections of the these systems to gauge symmetries - if there are some.
PS: of course, you can also introduce coupling in the coefficients of the diffusion, and then it is no longer a 'diagonal' diffusion, but I only wanted to write a post, not a full article...
PPS: probably, in two or three week I also will upload on arXiv my first neuro-paper!
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martedì, settembre 09, 2008
Coupled parabolic systems
The paper of Delio Mugnolo and mine "Qualitative properties of coupled parabolic systems of evolution equations" appeared some days ago in the journal Ann. Scuola Norm. Pisa.
The Laplace operator on a domain can be understood as the operator associated with the quadratic form defined by

In fact, it is possible to develop a theory for quadratic forms on Hilbert spaces, characterizing those forms having a "good" associated operator. We call this operator A.
It turns out that properties of the quadratic form are reflected from properties of the solution of the equation
du(t)/dt=Au(t).
Most notably, invariance of convex sets of the Hilbert space can be characterized in terms of properties of the quadratic form. To be more specific: if S is closed convex set, then there is an algebraic characterization in terms of the form of the fact that solutions that start in S also stay in S - this is known as Ouhabaz's criterion.
If the Hilbert space has a product structure and it is infinite dimensional (as C²=C x C, C³= C x C x C,... in the finite dimensional case), then it is possible to write the quadratic form as a kind of matrix of quadratic forms. More interesting: the properties of the solutions are obtained applying finite dimensional arguments to the properties of the infinite dimensional forms, and this is what we discuss in the paper.
Further readings: the preprint on arxiv, an introduction to the theory of forms, the home page of the book of Ouhabaz, my PhD thesis.
The Laplace operator on a domain can be understood as the operator associated with the quadratic form defined by
In fact, it is possible to develop a theory for quadratic forms on Hilbert spaces, characterizing those forms having a "good" associated operator. We call this operator A.
It turns out that properties of the quadratic form are reflected from properties of the solution of the equation
du(t)/dt=Au(t).
Most notably, invariance of convex sets of the Hilbert space can be characterized in terms of properties of the quadratic form. To be more specific: if S is closed convex set, then there is an algebraic characterization in terms of the form of the fact that solutions that start in S also stay in S - this is known as Ouhabaz's criterion.
If the Hilbert space has a product structure and it is infinite dimensional (as C²=C x C, C³= C x C x C,... in the finite dimensional case), then it is possible to write the quadratic form as a kind of matrix of quadratic forms. More interesting: the properties of the solutions are obtained applying finite dimensional arguments to the properties of the infinite dimensional forms, and this is what we discuss in the paper.
Further readings: the preprint on arxiv, an introduction to the theory of forms, the home page of the book of Ouhabaz, my PhD thesis.
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sabato, giugno 07, 2008
Teoremi di Baire (IV)
Il teorema di Baire ha delle applicazioni sorprendenti: sapevate che esistono funzioni continue che non possiedono una derivata in nessun punto?
Ecco come si fa a dimostrarlo. Si denoti con Df(x,h) il rapporto incrementale destro della funzione f, al punto x di lunghezza h e si consideri lo spazio C delle funzioni continue sull'intervallo [0,1].
Ora definiamo una famiglia numerabile di insiemi tramite:
![A_n:=\{ f \in C: \exists x \in [0,1-1/n], \forall h \in (0,1/n]: |Df(x,h)| \leq n \}](https://lh3.googleusercontent.com/blogger_img_proxy/AEn0k_sye3uppV93nUUSxtEW5tnCivNHPrqlQMEOqegvCVDBR8wJevNewueWBDTAiN8atV2rL1DoNwPPVE3SECxvQ3kighxaaaULiAdT4QZO5xicd432e7Rq1m-hNXFTHMCIQMsqhX28vhVdkq-fscKRwk8cxvBsN1309Ucrsl5XRt48Fddr5xTGIPC6cCLONL2ginc_7CV0A2vd_F6Gj-VoW5FS2TgA7PsFbGTtwOUzAW5Rcoy9rGBn0-Ha7v7kCGee4nu95duFggbI0JT0s-pg2XnLNa3tBGIjT6jidfe4t1BgGjz-DlczTvxv9GKxeX-EwoipxGndxKeAjS9e=s0-d)
Non spaventatevi! Lo riformulo a parole:
A_n è l'insieme delle funzioni continue i cui rapporti incrementali di lunghezza massima 1/n sono limitati da n in almeno in un punto distante non più di 1/n da 1.
Dubito che sia più facile scritto in questa maniera: voglio solo far vedere che non c'è nessuna matematica esoterica nella definizione.
Si noti che unendo tutti gli A_n si ottengono le funzioni che hanno in almeno in un punto un rapporto incrementale destro limitato. In particolare, le funzioni differenziabili in almeno un punto sono contenute in questa unione.
Voglio dimostrare aesso che tutti gli A_n sono insiemi chiusi e mai densi nell'insieme delle funzioni continue.
È un po' tecnico dimostrare che gli A_n sono tutti insiemi chiusi, ma ce lo si può aspettare, osservando che appaiono solo insiemi chiusi in tutte le definizioni. Crediamo che valga e andiamo alla parte divertente.
Dimostriamo per assurdo che nessuno degli A_n contiene un intorno.
Supponiamo che per un certo A_n esista f in A_n, tale che un intera sfera di centro f e raggio r sia contenuta in A_n. Approssimiamo f con un polinomio P a distanza minore di r/2.
Ora consideriamo una funzione L, lineare a tratti (una "funzione a denti di sega"). Si osservi che possiamo far crescere arbitrariamente i rapporti incrementali di tale funzione mantenendone invariata la norma dell'estremo superiore, diciamo inferiore a r/2.
Adesso, da una parte F + L dista da f meno di r e quindi è in A_n. Dall'altro, i suoi rapporti incrementali possono essere fatti crescere indefinitamente tramite un'opportuna scelta di L, e quindi non può essere in A_n.
La nostra ipotesi era che esistesse un A_n che non fosse mai denso, e quindi abbiamo dimostrato che tutti gli A_n sono mai densi.
Concludendo, abbiamo fatto vedere che l'insieme delle funzioni differenziabili in almeno un punto sono un sottoinsieme dell'unione numerabile di insiemi mai densi. In particolare, per Baire questo insieme è esso stesso mai denso nelle funzioni continue.
Non solo ci sono funzioni continue mai differenziabili: esse sono quasi tutte le funzioni continue!
Ecco come si fa a dimostrarlo. Si denoti con Df(x,h) il rapporto incrementale destro della funzione f, al punto x di lunghezza h e si consideri lo spazio C delle funzioni continue sull'intervallo [0,1].
Ora definiamo una famiglia numerabile di insiemi tramite:
Non spaventatevi! Lo riformulo a parole:
A_n è l'insieme delle funzioni continue i cui rapporti incrementali di lunghezza massima 1/n sono limitati da n in almeno in un punto distante non più di 1/n da 1.
Dubito che sia più facile scritto in questa maniera: voglio solo far vedere che non c'è nessuna matematica esoterica nella definizione.
Si noti che unendo tutti gli A_n si ottengono le funzioni che hanno in almeno in un punto un rapporto incrementale destro limitato. In particolare, le funzioni differenziabili in almeno un punto sono contenute in questa unione.
Voglio dimostrare aesso che tutti gli A_n sono insiemi chiusi e mai densi nell'insieme delle funzioni continue.
È un po' tecnico dimostrare che gli A_n sono tutti insiemi chiusi, ma ce lo si può aspettare, osservando che appaiono solo insiemi chiusi in tutte le definizioni. Crediamo che valga e andiamo alla parte divertente.
Dimostriamo per assurdo che nessuno degli A_n contiene un intorno.
Supponiamo che per un certo A_n esista f in A_n, tale che un intera sfera di centro f e raggio r sia contenuta in A_n. Approssimiamo f con un polinomio P a distanza minore di r/2.
Ora consideriamo una funzione L, lineare a tratti (una "funzione a denti di sega"). Si osservi che possiamo far crescere arbitrariamente i rapporti incrementali di tale funzione mantenendone invariata la norma dell'estremo superiore, diciamo inferiore a r/2.
Adesso, da una parte F + L dista da f meno di r e quindi è in A_n. Dall'altro, i suoi rapporti incrementali possono essere fatti crescere indefinitamente tramite un'opportuna scelta di L, e quindi non può essere in A_n.
La nostra ipotesi era che esistesse un A_n che non fosse mai denso, e quindi abbiamo dimostrato che tutti gli A_n sono mai densi.
Concludendo, abbiamo fatto vedere che l'insieme delle funzioni differenziabili in almeno un punto sono un sottoinsieme dell'unione numerabile di insiemi mai densi. In particolare, per Baire questo insieme è esso stesso mai denso nelle funzioni continue.
Non solo ci sono funzioni continue mai differenziabili: esse sono quasi tutte le funzioni continue!
giovedì, giugno 05, 2008
Teorema spettrale
In mathematics, particularly linear algebra and functional analysis, the spectral theorem is any of a number of results about linear operators or about matrices.
Wikipedia
Ma, direte voi, fra una settimana hai l'esame di dottorato e passi tempo a scrivere sul blog?
Studiando, ho incontrato finalmente un'esposizone coincisa e comprensibile e self-contained del teorema spettrale. Grazie a chi? Grazie a Paul Halmos.
Cerco di riportare il suo argomento del paragrafo 35 di Introduction to Hilbert space: euristica spettrale.
Il ragionamento è molto semplice: consideriamo una funzione semplice sui reali e chiamiamola f.
Per definizione, allora, seguento la notazione di Wiki

Ora si noti che, se al posto della funzione indicatrice
avessimo usato la misura di
, allora il risultato del calcolo precedente sarebbe l'integrale di f.
Invertendo il ragionamento, consideriamo una misura (che non è proprio una misura, ma piuttosto ciò che si chiama una misura spettrale) con valori nello spazio delle funzioni indicatrici definita da

e notiamo che rispetto a questa misura, l'integrale di funzioni semplici si riduce ad una combinazione lineare di funzioni indicatrici. In particolare, il calcolo precedente mostra che, per funzioni semplici vale l'identità

Ora dobbiamo solo trovare il modo di estendere questo ragionamento a funzioni semplici e di generalizzare alcuni concetti al caso in cui E ha valori nell'insieme delle proiezioni ortogonali di uno spazio di Hilbert, ed ecco il teorema spettrale...
Wikipedia
Ma, direte voi, fra una settimana hai l'esame di dottorato e passi tempo a scrivere sul blog?
Studiando, ho incontrato finalmente un'esposizone coincisa e comprensibile e self-contained del teorema spettrale. Grazie a chi? Grazie a Paul Halmos.
Cerco di riportare il suo argomento del paragrafo 35 di Introduction to Hilbert space: euristica spettrale.
Il ragionamento è molto semplice: consideriamo una funzione semplice sui reali e chiamiamola f.
Per definizione, allora, seguento la notazione di Wiki
Ora si noti che, se al posto della funzione indicatrice
Invertendo il ragionamento, consideriamo una misura (che non è proprio una misura, ma piuttosto ciò che si chiama una misura spettrale) con valori nello spazio delle funzioni indicatrici definita da
e notiamo che rispetto a questa misura, l'integrale di funzioni semplici si riduce ad una combinazione lineare di funzioni indicatrici. In particolare, il calcolo precedente mostra che, per funzioni semplici vale l'identità
Ora dobbiamo solo trovare il modo di estendere questo ragionamento a funzioni semplici e di generalizzare alcuni concetti al caso in cui E ha valori nell'insieme delle proiezioni ortogonali di uno spazio di Hilbert, ed ecco il teorema spettrale...
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sabato, maggio 17, 2008
Un enigma
Questo post è un po' tecnico, quindi occhio!
Date due variabili casuali, la covarianza è una misura di come queste due variabili siano correlate. Se chiamiamo le vue variabili X e Y e se E denota il valore atteso, essa è definita come
Cov(X,Y) = E[(X-E(X))(Y-E(Y))]
Consideriamo ora lo spazio delle variabili casuali a quadrato sommabile, che altro non sarebbe che L²(X,P) dove (X,P) è il nostro spazio di probabilità. Allora le due variabili sono due vettori f e g nello spazio di Hilbert e l'espressione di cui sopra si riduce a

Facendosi un po' di conti si vede che Cov è una forma bilineare (e, se le nostre variabili casuali sono complesse, anche sesquilineare) continua, simmetrica e accretiva. Se ne deduce che esiste un operatore associato con essa che genera un semigruppo di contrazioni.
Domanda 1
Qual è l'operatore associato alla covarianza?
Se si vuole riformulare il problema in un'altra maniera, si osservi che Var(X)=Cov(X,X), cioè la varianza è la forma quadratica associata alla covarianza. La domanda seguente è equivalente alla precedente
Domanda 2
Qual è il gradiente della varianza?
Date due variabili casuali, la covarianza è una misura di come queste due variabili siano correlate. Se chiamiamo le vue variabili X e Y e se E denota il valore atteso, essa è definita come
Cov(X,Y) = E[(X-E(X))(Y-E(Y))]
Consideriamo ora lo spazio delle variabili casuali a quadrato sommabile, che altro non sarebbe che L²(X,P) dove (X,P) è il nostro spazio di probabilità. Allora le due variabili sono due vettori f e g nello spazio di Hilbert e l'espressione di cui sopra si riduce a
Facendosi un po' di conti si vede che Cov è una forma bilineare (e, se le nostre variabili casuali sono complesse, anche sesquilineare) continua, simmetrica e accretiva. Se ne deduce che esiste un operatore associato con essa che genera un semigruppo di contrazioni.
Domanda 1
Qual è l'operatore associato alla covarianza?
Se si vuole riformulare il problema in un'altra maniera, si osservi che Var(X)=Cov(X,X), cioè la varianza è la forma quadratica associata alla covarianza. La domanda seguente è equivalente alla precedente
Domanda 2
Qual è il gradiente della varianza?
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lunedì, marzo 31, 2008
Teoremi di Baire (II)
Passo alla dimostrazione del teorema enunciato qui.
Quello che dobbiamo dimostrare è che uno spazio metrico completo non può essere espresso come unione numerabile di insiemi chiusi mai densi. Prima di cominciare la dimostrazione, chiediamoci cosa vuol dire. Un esempio facile si ottiene scegliendo il piano come spazio metrico completo; come distanza si scelga la distanza euclidea. Cos'è un insieme mai denso (vedi post precedente!) nel piano? Un tale insieme non può contenere una palla; intuitivamente, gli insiemi mai densi del piano sono varietà monodimensionali; ce ne ovviamente qualcuno in più, ma non molti. Quindi il teorema afferma che il piano non può essere decomposto, ad esempio, in un unione numerabile di segmenti; sembra banale, ma si pensi che non è necessario che i segmenti siano paralleli. Il teorema di Baire-Hausdorff assicura che non importa come si orientano i segmenti: non si riuscirà a ricoprire il piano con una quantità numerabile di essi.
Teorema di Baire-Haudorff
Uno spazio metrico completo non vuoto è di seconda categoria.
Dimostrazione
Dobbiamo dimostrare che non esiste una successione di insiemi chiusi e mai densi che ricopramo lo sapzio topologico completo X.
Come in tutte le dimostrazioni di inesistenza, l'unica possibilità risiede in una dimostrazione per assurdo (io e wiki).
Consideriamo allora una successione di insiemi chiusi mai densi M_n e assumiamo che la loro unione sia il nostro spazio topologico X.
La prima osservazione è che il complemento di M_1, che denotiamo C(M_1), è aperto e che quindi contiene una palla chiusa B_1 di centro x_1 e raggio r_1. Dato che M_1 è mai denso, il suo complemento è denso in X e quindi x_1 può essere scelto arbitrariamente vicino ad ogni punto di X. Questo sarà importante nel secondo passo! Il raggio lo scegliamo più piccolo di 0.5.
Come secondo passo notiamo che anche il complemento di M_2 è aperto e denso e quindi contiene una palla chiusa B_2, che per densità può essere scelta come avente centro x_2 all'interno di B_1. Il suo raggio lo scegliamo pari a (r_1)^2. Si noti che dato che r_1<0.5, tale sfera sarà contenuta nella precedente.
Ripetiamo quindi lo stesso ragionamento per ogni n e otteniamo una serie di palle, contenute l'una nell'altra. Per la disuguaglianza triangolare per la distanza di due centri x_p, x_q (per semplicità scegliamo p < q) vale

Dato che la serie converge, la distanza diventa piccola a piacere se p va a infinito, quindi i centri formano una successione di Cauchy.
Ora usiamo la completezza dello spazio e otteniamo che la successione dei centri converge verso un limite x.
Dato che ogni palla B_n è contenuta nella precedente B_{n-1}, se ne deduce che il limite x è in tutte le palle. Per vedere che vale questa affermazione si usi la disuguaglianza triangolare per osservare che

Dato che epsilon può essere scelto arbitrariamente piccolo mandando n a infinito, dato che le palle sono chiuse, e data l'arbitrarietà di m, se ne deduce che x è contenuto in ogni palla.
Adesso concludiamo: le palle erano contenute nei complementi C(M_n), quindi il limite x è contenuto in tutti i complementi C(M_n), in quanto elemento di ogni palla. Dunque non è contenuto in nessun M_n. Quindi abbiamo trovato un elemento di X che non è contenuto in nessun M_n.
Dato che però avevamo assunto che X è un unione degli M_n, abbiamo un assurdo!
Wow, finito... la dimostrazione è adatta da quella di Yosida in "Functional Analysis". A dire il vero non so come sia la dimostrazione originale di Baire. Mi riprometto di cercarlo, prima o poi.
Quello che dobbiamo dimostrare è che uno spazio metrico completo non può essere espresso come unione numerabile di insiemi chiusi mai densi. Prima di cominciare la dimostrazione, chiediamoci cosa vuol dire. Un esempio facile si ottiene scegliendo il piano come spazio metrico completo; come distanza si scelga la distanza euclidea. Cos'è un insieme mai denso (vedi post precedente!) nel piano? Un tale insieme non può contenere una palla; intuitivamente, gli insiemi mai densi del piano sono varietà monodimensionali; ce ne ovviamente qualcuno in più, ma non molti. Quindi il teorema afferma che il piano non può essere decomposto, ad esempio, in un unione numerabile di segmenti; sembra banale, ma si pensi che non è necessario che i segmenti siano paralleli. Il teorema di Baire-Hausdorff assicura che non importa come si orientano i segmenti: non si riuscirà a ricoprire il piano con una quantità numerabile di essi.
Teorema di Baire-Haudorff
Uno spazio metrico completo non vuoto è di seconda categoria.
Dimostrazione
Dobbiamo dimostrare che non esiste una successione di insiemi chiusi e mai densi che ricopramo lo sapzio topologico completo X.
Come in tutte le dimostrazioni di inesistenza, l'unica possibilità risiede in una dimostrazione per assurdo (io e wiki).
Consideriamo allora una successione di insiemi chiusi mai densi M_n e assumiamo che la loro unione sia il nostro spazio topologico X.
La prima osservazione è che il complemento di M_1, che denotiamo C(M_1), è aperto e che quindi contiene una palla chiusa B_1 di centro x_1 e raggio r_1. Dato che M_1 è mai denso, il suo complemento è denso in X e quindi x_1 può essere scelto arbitrariamente vicino ad ogni punto di X. Questo sarà importante nel secondo passo! Il raggio lo scegliamo più piccolo di 0.5.
Come secondo passo notiamo che anche il complemento di M_2 è aperto e denso e quindi contiene una palla chiusa B_2, che per densità può essere scelta come avente centro x_2 all'interno di B_1. Il suo raggio lo scegliamo pari a (r_1)^2. Si noti che dato che r_1<0.5, tale sfera sarà contenuta nella precedente.
Ripetiamo quindi lo stesso ragionamento per ogni n e otteniamo una serie di palle, contenute l'una nell'altra. Per la disuguaglianza triangolare per la distanza di due centri x_p, x_q (per semplicità scegliamo p < q) vale
Dato che la serie converge, la distanza diventa piccola a piacere se p va a infinito, quindi i centri formano una successione di Cauchy.
Ora usiamo la completezza dello spazio e otteniamo che la successione dei centri converge verso un limite x.
Dato che ogni palla B_n è contenuta nella precedente B_{n-1}, se ne deduce che il limite x è in tutte le palle. Per vedere che vale questa affermazione si usi la disuguaglianza triangolare per osservare che
Dato che epsilon può essere scelto arbitrariamente piccolo mandando n a infinito, dato che le palle sono chiuse, e data l'arbitrarietà di m, se ne deduce che x è contenuto in ogni palla.
Adesso concludiamo: le palle erano contenute nei complementi C(M_n), quindi il limite x è contenuto in tutti i complementi C(M_n), in quanto elemento di ogni palla. Dunque non è contenuto in nessun M_n. Quindi abbiamo trovato un elemento di X che non è contenuto in nessun M_n.
Dato che però avevamo assunto che X è un unione degli M_n, abbiamo un assurdo!
Wow, finito... la dimostrazione è adatta da quella di Yosida in "Functional Analysis". A dire il vero non so come sia la dimostrazione originale di Baire. Mi riprometto di cercarlo, prima o poi.
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venerdì, marzo 28, 2008
Teoremi di Baire (I)
Sto ristudiando un po' di analisi funzionale per rinfrescarmi la memoria. Una delle cose fantastiche sono i teoremi di Baire, che sono veramente entusiasmanti.
Come al solito, consiglio di dare almeno uno sguardo alla biografia di Baire, la cui vita sembra un romanzo di Flaubert.
Per prima cosa, ci servono alcuni concetti. Quello che ci serve è esprimere la piccolezza relativa di un insieme in una maniera puramente topologica: cioè non vogliamo usare ne` una misura, ne`una dimensione algebrica, ma solo il concetto di insieme aperto.
Definizione 1
Sia X uno spazio topologico. Un sottoinsieme M di X è mai denso se non contiene alcun aperto non vuoto.
Un insieme di questo genere è piccolo nel senso che la sua chiusura non contiene alcuna palla di raggio finito!
Il secondo concetto che ci serve è una lieve estensione del precedente.
Definizione 2
Un sottoinsieme M di X è di prima categoria se è l'unione numerabile di insiemi mai densi. M è di seconda categoria se non è di prima categoria.
Si noti che ogni spazio topologico è sottoinsieme di se stesso. Così si può parlare di uno spazio topologico di prima o seconda categoria. Ora possiamo formulare il teorema di Baire-Hausdorff.
Teorema di Baire-Haudorff
Uno spazio metrico completo non vuoto è di seconda categoria.
La dimostrazione sarà in un post successivo. Faccio solo notare che ho già parlato di spazi metrici qui. Ricordo che uno spazio metrico è completo se esiste il limite di ogni successione che sia di Cauchy rispetto alla metrica.
Come al solito, consiglio di dare almeno uno sguardo alla biografia di Baire, la cui vita sembra un romanzo di Flaubert.
Per prima cosa, ci servono alcuni concetti. Quello che ci serve è esprimere la piccolezza relativa di un insieme in una maniera puramente topologica: cioè non vogliamo usare ne` una misura, ne`una dimensione algebrica, ma solo il concetto di insieme aperto.
Definizione 1
Sia X uno spazio topologico. Un sottoinsieme M di X è mai denso se non contiene alcun aperto non vuoto.
Un insieme di questo genere è piccolo nel senso che la sua chiusura non contiene alcuna palla di raggio finito!
Il secondo concetto che ci serve è una lieve estensione del precedente.
Definizione 2
Un sottoinsieme M di X è di prima categoria se è l'unione numerabile di insiemi mai densi. M è di seconda categoria se non è di prima categoria.
Si noti che ogni spazio topologico è sottoinsieme di se stesso. Così si può parlare di uno spazio topologico di prima o seconda categoria. Ora possiamo formulare il teorema di Baire-Hausdorff.
Teorema di Baire-Haudorff
Uno spazio metrico completo non vuoto è di seconda categoria.
La dimostrazione sarà in un post successivo. Faccio solo notare che ho già parlato di spazi metrici qui. Ricordo che uno spazio metrico è completo se esiste il limite di ogni successione che sia di Cauchy rispetto alla metrica.
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sabato, febbraio 23, 2008
Simmetrie di gauge (I)
Nel portare a termine la scrittura della mia tesi, mi par finalmente di aver capito come formulare il concetto di simmetria di gauge senza usare nulla di geometria differenziale, ma solo analisi funzionale.
Supponiamo, dunque, che la funzione u(t,x) dove x varia nel dominio D e designa lo spazio e t designa il tempo e varia fra 0 e T, sia la soluzione di un certa equazione differenziale

dove A è un operatore che non dipende dal tempo.
Una simmetria spaziale, allora, è una famiglia
di applicazioni su D che costituisca un gruppo per la composizione di funzioni e che mandi soluzioni dell'equazione in altre equazioni dell'equazione, cioè tale che
sia una soluzione dell'equazione per ogni z, supposto che u(t,x) sia una soluzione dell'equazione.
(A dire la verità, una simmetria è un'applicazione che lascia invariante la Lagrangiana, ma in prima approssimazione può bastare quanto detto prima).
Come si vede, le simmetrie spaziali hanno un grande svantaggio: è possibile considerarle solo nel caso il dominio D abbia qualche tipo di simmetria.
Le simmetrie di Gauge non hanno questo svantaggio. Supponiamo che la funzione u(t,x) abbia valori in uno spazio di Hilbert complesso H (nel caso banale: nel campo dei numeri complessi). Supponiamo adesso che la famiglia
sia un gruppo unitario di operatori lineari sullo spazio di Hilbert H. Allora essa è una simmetria di gauge se

è una soluzione dell'equazione per ogni z, supposto che u(t,x) sia una soluzione.
Come si vede, simmetrie di questo tipo non hanno bisogno di alcuna assunzione sul dominio!
Peraltro, ci ho messo circa due anni prima di capire che la mia tesi è esattamente su simmetrie di gauge per grafi quantistici. Quello che dovrei fare ora che ho finito, è buttare la mia tesi dal balcone e riscrivere tutto dall'inizio...
Supponiamo, dunque, che la funzione u(t,x) dove x varia nel dominio D e designa lo spazio e t designa il tempo e varia fra 0 e T, sia la soluzione di un certa equazione differenziale
dove A è un operatore che non dipende dal tempo.
Una simmetria spaziale, allora, è una famiglia
di applicazioni su D che costituisca un gruppo per la composizione di funzioni e che mandi soluzioni dell'equazione in altre equazioni dell'equazione, cioè tale che
sia una soluzione dell'equazione per ogni z, supposto che u(t,x) sia una soluzione dell'equazione.
(A dire la verità, una simmetria è un'applicazione che lascia invariante la Lagrangiana, ma in prima approssimazione può bastare quanto detto prima).
Come si vede, le simmetrie spaziali hanno un grande svantaggio: è possibile considerarle solo nel caso il dominio D abbia qualche tipo di simmetria.
Le simmetrie di Gauge non hanno questo svantaggio. Supponiamo che la funzione u(t,x) abbia valori in uno spazio di Hilbert complesso H (nel caso banale: nel campo dei numeri complessi). Supponiamo adesso che la famiglia
sia un gruppo unitario di operatori lineari sullo spazio di Hilbert H. Allora essa è una simmetria di gauge se
è una soluzione dell'equazione per ogni z, supposto che u(t,x) sia una soluzione.
Come si vede, simmetrie di questo tipo non hanno bisogno di alcuna assunzione sul dominio!
Peraltro, ci ho messo circa due anni prima di capire che la mia tesi è esattamente su simmetrie di gauge per grafi quantistici. Quello che dovrei fare ora che ho finito, è buttare la mia tesi dal balcone e riscrivere tutto dall'inizio...
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mercoledì, febbraio 06, 2008
componente connessa (II)
al contrario di ciò che io e d.m. facciamo di solito, ieri mi è capitato di dover utilizzare un risultato di teoria dei grafi per dimostrare una proposizione di analisi funzionale.
Proposizione
Sia G un grafo. Allora esistono

sottografi disgiunti e disconnessi di G, tale che ciascuno di essi è connesso.
Tale famiglia è univocamente determinata.
Dimostrazione
Si consideri la relazione R sull'insieme dei nodi di G definita da aRb se e solo se esiste un cammino (finito) da a a b.
R è una relazione di equivalenza, infatti
1) aRa, grazie al cammino triviale (a,a).
2) aRb implica bRa. Si prenda il cammino di lunghezza n

Il cammino inverso

ha lunghezza n e congiunge b ad a.
3) Se aRb e bRc allora, aRc. Infatti, siano

due cammini di lunghezza rispettivamente n e m, congiungenti il nodo a al nodo b e il nodo b al nodo c. Allora il cammino

ha lunghezza n+m e congiunge il nodo a al nodo c.
Si denoti N l'insieme dei nodi e si consideri l'insieme quoziente N/R. Allora gli elementi di N/R sono le componenti connesse del grafo. L'unicità è conseguenza dell'unicità dell'insieme quoziente, q.e.d.
Proposizione
Sia G un grafo. Allora esistono
sottografi disgiunti e disconnessi di G, tale che ciascuno di essi è connesso.
Tale famiglia è univocamente determinata.
Dimostrazione
Si consideri la relazione R sull'insieme dei nodi di G definita da aRb se e solo se esiste un cammino (finito) da a a b.
R è una relazione di equivalenza, infatti
1) aRa, grazie al cammino triviale (a,a).
2) aRb implica bRa. Si prenda il cammino di lunghezza n
Il cammino inverso
ha lunghezza n e congiunge b ad a.
3) Se aRb e bRc allora, aRc. Infatti, siano
due cammini di lunghezza rispettivamente n e m, congiungenti il nodo a al nodo b e il nodo b al nodo c. Allora il cammino
ha lunghezza n+m e congiunge il nodo a al nodo c.
Si denoti N l'insieme dei nodi e si consideri l'insieme quoziente N/R. Allora gli elementi di N/R sono le componenti connesse del grafo. L'unicità è conseguenza dell'unicità dell'insieme quoziente, q.e.d.
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venerdì, gennaio 18, 2008
Suriettività
Per D.M. da me e R.N.
È vero che il duale di c={successioni convergenti} è isomorfo a
. Però l'isomorfismo non è quello che uno si aspetta. Infatti sarebbe portato a definire per un funzonale r in c* una successione sommabile come
, dove
sono i vettori della base canonica di c00={successioni finite}. Tuttavia questa applicazione f:r --> x(r) non è quella giusta.
Si prenda per mostrarlo il funzionale lineare r, continuo su c che ad una successione y associa il suo limite, i.e. r(y)=lim(y). Ovviamente
. Quindi l'applicazione f ha come immagine una succesione sommabile, cioè (0,0,...). Ma questa successione sommabile non è quella giusta, perchè applicata ad una successione di c non restituisce il suo limite.
Detto in altre parole, f non è surgettiva.
È vero che il duale di c={successioni convergenti} è isomorfo a
Si prenda per mostrarlo il funzionale lineare r, continuo su c che ad una successione y associa il suo limite, i.e. r(y)=lim(y). Ovviamente
Detto in altre parole, f non è surgettiva.
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martedì, dicembre 04, 2007
vortici extradimensionali
è un'anfora di energia cosmica... ed è puntata contro di me!
crystal
qualche giorno fa, scrivendo la tesi, ho fatto una divertente osservazione riguardante grafi infiniti. partiamo dal caso finito e immaginiamo di avere una stella con un numero finito di punte, cioè un punto da cui si dipartono un numero finito di segmenti. su ognuno di questi segmenti abbiamo un'equazione di schrödinger che governa una funzione d'onda. supponiamo che non ci sia assorbimento ne eccitazione nel punto centrale, cioè che tutti gli elettroni che arrivano al centro possano proseguire.
la cosa migliore per studiare questo problema è scrivere il funzionale dell'energia, che altro non è che l'integrale su tutta la stella del gradiente quadrato della funzione d'onda; alle funzioni sui diversi lati si impone solamente che esista la derivata e che abbiano un valore comune al centro. questo ansatz funziona, e l'operatore associato a questo funzionale dell'energia è quello giusto.
ancora meglio: in questo caso, l'equazione di schödinger ha tutte le proprietà possibili e immaginabili, e, per riassumere in poche parole, è quasi indistinguibile da un'equazione di schrödinger su un dominio. in particolare, se la funzione d'onda è concentrata su un segmento, allora si espanderà in tutti gli altri.
nel caso la stella abbia infiniti lati. accade qualcosa di strano: il nodo centrale si comporta come se fosse imposta una condizione di dirichlet. in pratica, è un buco nero che inghiotte tutti gli elettroni che vengono a trovarsi li.
una spiegazione intuitiva è la seguente: immaginate di essere un elettrone in procinto di attraversare il nodo centrale. per simmetria avete una probabilità identica di passare ad ogni altro lato. dato che i lati sono infiniti, questa identica probabilità è 0, è così venite risucchiati da un vortice extradimensionale. amen.
ps: per altro: così si possono intrappolare funzioni d'onda in un lato prefissato.
crystal
qualche giorno fa, scrivendo la tesi, ho fatto una divertente osservazione riguardante grafi infiniti. partiamo dal caso finito e immaginiamo di avere una stella con un numero finito di punte, cioè un punto da cui si dipartono un numero finito di segmenti. su ognuno di questi segmenti abbiamo un'equazione di schrödinger che governa una funzione d'onda. supponiamo che non ci sia assorbimento ne eccitazione nel punto centrale, cioè che tutti gli elettroni che arrivano al centro possano proseguire.
la cosa migliore per studiare questo problema è scrivere il funzionale dell'energia, che altro non è che l'integrale su tutta la stella del gradiente quadrato della funzione d'onda; alle funzioni sui diversi lati si impone solamente che esista la derivata e che abbiano un valore comune al centro. questo ansatz funziona, e l'operatore associato a questo funzionale dell'energia è quello giusto.
ancora meglio: in questo caso, l'equazione di schödinger ha tutte le proprietà possibili e immaginabili, e, per riassumere in poche parole, è quasi indistinguibile da un'equazione di schrödinger su un dominio. in particolare, se la funzione d'onda è concentrata su un segmento, allora si espanderà in tutti gli altri.
nel caso la stella abbia infiniti lati. accade qualcosa di strano: il nodo centrale si comporta come se fosse imposta una condizione di dirichlet. in pratica, è un buco nero che inghiotte tutti gli elettroni che vengono a trovarsi li.
una spiegazione intuitiva è la seguente: immaginate di essere un elettrone in procinto di attraversare il nodo centrale. per simmetria avete una probabilità identica di passare ad ogni altro lato. dato che i lati sono infiniti, questa identica probabilità è 0, è così venite risucchiati da un vortice extradimensionale. amen.
ps: per altro: così si possono intrappolare funzioni d'onda in un lato prefissato.
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lunedì, novembre 26, 2007
ex congettura
an enticing game is to choose the basis so as to make the matrix as simple as possible.
paul halmos
qui avevo formulato una congettura. ebbene, tale congettura è falsa. Infatti vale il seguente lemma:
Lemma
La matrice di incidenza di un grafo è un operatore limitato su l^2 se e solo se il grafo è uniformemente localmente finito.
la dimostrazione è un calcolo semplice in ambo le direzioni (una la devo a d.m.). la cosa divertente è che tutto ciò ha lo stesso aroma del capitolo di "a hilbert space problem book" di halmos, nel capitolo dove discute di matrici infinite. in particolare assomiglia ad un lemma di toeplitz che afferma che se A è un operatore su l^2, allora esiste una rappresentazione matriciale dove ogni colonna contiene solo un numero finito di elementi diversi da 0.
ed anche oggi ho un intrattieni...
paul halmos
qui avevo formulato una congettura. ebbene, tale congettura è falsa. Infatti vale il seguente lemma:
Lemma
La matrice di incidenza di un grafo è un operatore limitato su l^2 se e solo se il grafo è uniformemente localmente finito.
la dimostrazione è un calcolo semplice in ambo le direzioni (una la devo a d.m.). la cosa divertente è che tutto ciò ha lo stesso aroma del capitolo di "a hilbert space problem book" di halmos, nel capitolo dove discute di matrici infinite. in particolare assomiglia ad un lemma di toeplitz che afferma che se A è un operatore su l^2, allora esiste una rappresentazione matriciale dove ogni colonna contiene solo un numero finito di elementi diversi da 0.
ed anche oggi ho un intrattieni...
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sabato, novembre 03, 2007
buona notte
dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna.
g. leopardi
premesso che non sono costretto a "gettarmi a terra, gridare e fremere" come il buon giacomo (anzi, oggi ho anche rifiutato un invito al rockside della mia graziosa coinquilina), ammetto che ho passato tutta la serata a fare conti.
con questi risultati.
Congettura
La matrice di di incidenza di un grafo è un operatore limitato su l^2 se e solo se il grafo contiene O(k) nodi di grado k.
Dimostrazione
Speriamo domani.
PS: se qualcuno fosse infastidito dalla notazione con O(k): vuol dire semplicemente che il limite superiore del numero dei nodi di grado k diviso k è minore di infinito.
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna.
g. leopardi
premesso che non sono costretto a "gettarmi a terra, gridare e fremere" come il buon giacomo (anzi, oggi ho anche rifiutato un invito al rockside della mia graziosa coinquilina), ammetto che ho passato tutta la serata a fare conti.
con questi risultati.
Congettura
La matrice di di incidenza di un grafo è un operatore limitato su l^2 se e solo se il grafo contiene O(k) nodi di grado k.
Dimostrazione
Speriamo domani.
PS: se qualcuno fosse infastidito dalla notazione con O(k): vuol dire semplicemente che il limite superiore del numero dei nodi di grado k diviso k è minore di infinito.
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lunedì, ottobre 29, 2007
grafi funzionali (II)
qui consideravo la possibilità di associare ad un grafo una funzione bilineare su un qualche spazio ancora da identificare. il problema nel risolvere questo esercizio è che non è possibile scegliere l'insieme potenza di V corredato dell'operazione di unione, dato che in tal caso la matrice di adiacenza induce una forma sublineare.
ecco una possibilità: si consideri un insieme di punti V e l'insieme delle funzioni definite su V e assumenti valori nei numeri naturali che denoto

si noti che ad ognunga di queste funzioni si può canonicamente associare un sottoinsieme pesato di V. il peso di ogni punto è pari al valore assunto dalla funzione nel punto.
si consideri adesso la matrice delle adiacenze A di un grafo G avente come insieme di vertici V. si consideri la funzione F: C(V) x C(V) --> N definita specificando i suoi valori sugli elementi della base canonica

per costruzione F è bilinerare, se non ho fatto errori.
fissata F, esiste un grafo che induce F?
ecco una possibilità: si consideri un insieme di punti V e l'insieme delle funzioni definite su V e assumenti valori nei numeri naturali che denoto
si noti che ad ognunga di queste funzioni si può canonicamente associare un sottoinsieme pesato di V. il peso di ogni punto è pari al valore assunto dalla funzione nel punto.
si consideri adesso la matrice delle adiacenze A di un grafo G avente come insieme di vertici V. si consideri la funzione F: C(V) x C(V) --> N definita specificando i suoi valori sugli elementi della base canonica
per costruzione F è bilinerare, se non ho fatto errori.
fissata F, esiste un grafo che induce F?
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