lunedì, agosto 21, 2006

Noreviga II: Sombunall

«Everybody is free to wear sunscreen.»

Baz Luhrman


Il titolo serva da ricordo e ancora per il bellissimo seminario di PhotoReading che ho seguito questo fine settimana. Sicuramente ne parlero´ piu´ a fondo, appena avro´ finito la serie sulla Norvegia. L´epigrafe, invece, e´ per ricordarmi un bel testo, tipicamente in american style, che il mio amico di sempre B.C. mi ha fatto ascoltare a Milano. Auguri a lui, alla sua simpaticissima e dolce ragazza, di trovare la loro strada e la felicita´ che cercano.
Myrdal, e´ li che eravamo rimarsi. Siamo scesi alla stazione di Myrdal alle quattro e cinquanta in punto. Usciamo dalla stazione e cominciamo a guardarci intorno alla ricerca della citta´. Avevamo infatti bisogno di una mappa di massima che ci permettese di arrivare alla zona coperata dalla cartina che avevamo trovato ad Oslo. Nesusna citta´ in vista. Un B&B e un negozio, pero´. Ed e´ li che capiamo, che Myrdal, la citta´ era quello che noi potevamo vedere da li´: una stazione, un B&B e un negozio. Al freddo dell´alba norvegese, decidiamo allora di mandare una spedizione a cercare cartine o altre cose di utilita´. Si avviano, loro, lemme lemme, fino ad esaurire la pazienza dei consoli. Cosi´ mandavamo D. dietro di loro ad esortarli.
Dopo un po´ tornavano tutti, e con grande disappunto scoprivamo che, come era abbastanza ovvio era tutto chiuso. Fa nulla ci diciamo: siamo sulla Rallarvegen e la Rallarvegen ci porta direttamente all´interno della mappa, se la seguiamo nella giusta direzione. Cosi´ ci mettiamo in marcia. Un sentiero piacevole, all´inizio, questa Rallarvegen. Utilizzabile veramente come pista ciclabile. Attraversiamo qualche altro agglomerato di case, sempre una o due, fino a quando, dopo qualche ora di marcia, arriviamo ad un rifugio, dove decidiamo di fermarci per fare colazione. Abbondante, ovviamente, con i nostri marroni e il nostro miele. Conversiamo un po´ con l´oste, uscito insieme al suo cane per parlare con noi, e lui ci promette meraviglie da questa Rallarvegen.
A dir la verita´ fino ad ora era certo carina, con tutti i suoi laghi, ma altrettanto certamente non era la Norvegia dei Vichinghi che ci ervamo venuti a cercare. Anche se, bisogna dirlo, il rifugio era in una posizione ideale: vicino ad una cascata che alimentava un piccolo fiume che sfociava in un lago. Bello. Per farla breve, ripartiamo e incominciamo, lentamente a salire. La salita, diviene sempre meno lenta e piu´ ripida e la strada piu´ stretta, anche se rimaneva un sentiero comodo. La´ capiamo che stavamo salendo sull´altipiano verso il quale eravamo diretti. Bella passeggiata: un po´ stancante, se non si e´ dormito, ma piacevole. Dopo un´oretta siamo arrivati sulle rive di un lago freddo e meraviglioso, quasi ai confini della nostra mappa. Bello. Ci siamo fermati, abbiamo mangiato la nostra cioccolata, e siamo ripartiti per quella che mi sembrava una tappa faticosissima e terribile, sotto un sole battente.
Tre, forse quattro ore di marcia, con un´unica breve pausa su un altro lago (tutto il percorso di oggi costeggiava questi enormi laghi che ci accoglievano sull´altipiano), tentando di non scontrarci con gli innumerevoli ciclisi che incrociavamo e di non soffrire troppo il sole battente e la mancanza di sonno. Dopo qualche ora di questa fatica siamo arrivati al bivio che poi portava al ponte, dove cominciava l´ultima parte della nostra fatica. Il bivio era sotto un rifugio, e, come per incanto, appena inoltratici in questo sentiero a malapena visibile, solo figura dei "sentieri" dei giorni dopo, eravamo soli. Niente biciclette, bambini, donne che prendono il sole. Nulla. Noi e la strada. Dopo qualche minuto, veramente pochi, siamo arrivati al primo ostacolo.
Un ponte. Per cosi´ dire, un ponte. Un pezzo di ferro appoggiato fra due rocce, e sotto, una cascata. Stabile, certo, non traballante, ma senza corrimano. Devo ammettere che sono rimasto terrorizzato gia´ quando l´ho visto di lontano e ho capito che dovevo passarci sopra. Terrorizzato, a differenza dei miei compagni, dalla vicenda, devo confessare che l´ho attraversato carponi, come un gatto. Non che questo abbia migliorato la mia stabilita´. Anzi: non fatelo mai, soprattutto se avete uno zaino pesante. Il vento sballottera´ il vostro zaino e non potrete spostare il vostro baricentro nemmeno di mezzo centimetro, se non usando la forza bruta. Pericoloso. Subito dopo, una piacevole pausa, di cui ho un ricordo strano: come se non fossimo soli sulla montagna, ma in un posto molto frequentato. Certo perche´ il fiume era molto rumoroso e il ponte aveva un aspetto sufficientemente high-tech (!?).
Finita una lunga pausa - chi ne ha approfittato per lavarsi in un´ansa del fiume, rischiando il congelamento, chi, come me, per mangiare una scatoletta di tonno, ovviamente con le mani, per non perdere tempo a cercare le forchette - ricordo ancora benissimo che alle tre siamo ripartiti, sul sentiero. Difficile definirlo un sentiero. L´unica cosa che lo qualificava come tale era l´essere segnalato. Non certo battuto. E´ mentre compivamo quest´ultima tappa, interrotta prematuramente per cause di forza maggiore, che abbiamo cominciato a cantare i nostri ottonari in stile Full Metal Jacket. Divertente.
Dopo circa un´ora e mezza di marcia, ci siamo fermati, perche P. era "un po´ stanco". M. ne approfittava per andare a cercare la strada. P. si stendeva. Privo di parole e di forze. "Non riesco a respirare - diceva - mi tremano le gambe". "Ahiahi" ho pensato "Ecco come finisce la nostra vacanza.". Molto semplice: colpo di sole, stanchezza, mancanza di sonno. Io e M. abbiamo cominciato a cercare un campo, ed e´ allora, meraviglia delle meraviglie, che si e´ aperto di fronte a noi, mentre risalivamo un ruscello, a forse 50 metri da dove D. giaceva, assistito da D.P. e G., un meraviglioso laghetto di montagna, con una zona piana, piena di erba, protetta dal vento, per mettere le nostre tende. Cosi´ abbiamo cominciato a mettere il campo, stanchi dalla marcia, affaticati dal sonno, che ci faceva sentire anche piu´ del freddo che in realta´ c´era. Persino M. era pigro e riluttante a lavorare, il nostro capitano rosso.
Ma cosi´ e´: abbiamo registrato il diario, mangiato, messo il campo senza troppa efficienza e ce ne siamo andati a dormire, stanchi, ma felici della nostra prima giornata.

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